Non è solo un crescente numero di consumatori a dimostrare interesse verso la profumeria artistica. Anche grandi player, attratti dall’accattivante business internazionale, hanno acquisito brand di nicchia, espressione dell’eccellenza mondiale che sta attraversando un periodo di grande fermento. Ma attenzione a non perdere l’impronta di esclusività, frutto di ricerca accurata e libertà creativa. Allure ne parla con sette autorevoli vertici di questo settore.
Un’inchiesta, scritta a due mani da Giovanna Mudulu, direttore di Allure, e Marina Donato, luxury & beauty expert, con 7 domande importanti ad altrettanti esperti della profumeria artistica: Alessandra Asnaghi, Brand Manager Perris Monte Carlo; Roberto Drago, Co-Founder di Kaon e Direttore Creativo di Laboratorio Olfattivo; Luca Gritti, CEO e Profumiere di Gritti; Silvio Levi, Founder e Amministratore Unico Calé; Andrea Rubini, Junior Manager Mirem 1938 e Founder Rubini Profumi; Filippo Sorcinelli, Founder e Art Director di Filippo Sorcinelli Profumi; Rosa Vaia, Master Perfumer di Vieffe Noselab e Titolare della Maison Coquillete Parfum.
La parola dunque agli esperti della profumeria artistica.
1. Il segmento della nicchia è in continua crescita: quale leva ha determinato un trend così positivo?
■ Alessandra Asnaghi. Si tratta di un insieme di fattori. Da una parte, i social media hanno richiamato nuovi consumatori, habitué della profumeria tradizionale. Dall’altra, molti brand artistici hanno incrementato visibilità e comunicazione. Non da meno, gli utenti sono costantemente in cerca di nuovi storytelling ed esperienze di consumo.
■ Roberto Drago. Il mercato si è evoluto come in altri settori (basta pensare al vino) e il consumatore ha cercato di distinguersi approcciandosi a un settore che non proponesse prodotti di massa. La ricerca di esclusività e la scelta autonoma hanno portato e portano nuovi consumatori al settore.
■ Luca Gritti. È un processo fisiologico, dettato più che altro dalle esigenze dei clienti e dall’apertura che dimostrano le profumerie verso il segmento di nicchia. Dieci anni fa era impensabile trovare un marchio artistico all’interno di una profumeria di prestige. Oggi Gritti, nato come un brand di ricerca, sta entrando nelle catene più importanti in tutto il mondo.



■ Silvio Levi. L’anosmia temporanea, vissuta con la pandemia, ha aumentato l’attenzione verso l’olfatto in generale, e la gratificazione nell’uso del profumo per sè stessi ha portato verso profumi coerenti con la propria personalità. L’attrazione per il gusto e le contaminazioni culinarie (cibo e vino) hanno fatto apprezzare il cibo anche olfattivamente.
■ Andrea Rubini. Penso che il passaparola sia stato determinante, specialmente con l’avvento di fragranze dalla grande scia e dal forte impatto. Aspetti che richiamano notevolmente l’attenzione. Sicuramente internet, attraverso i blogger prima e gli influencer poi, ha contribuito puntando il focus sul nostro settore.
■ Filippo Sorcinelli. Sono fermamente convinto che la risposta a questa domanda sia la profonda serietà e la competenza, frutto di un lavoro enorme, che caratterizzano il nostro settore, a differenza di una leggerezza sempre più incalzante (come è accaduto nel mondo del fashion), che ha dato spazio a corse spasmodiche contro il tempo e anteposto le operazioni finanziarie alla qualità e all’arte.



■ Rosa Vaia. Il settore della profumeria alcolica segna un trend positivo, lo stesso vale per le esportazioni. È facilmente intuibile che, in questo clima fausto, anche il segmento della nicchia cresca proporzionalmente, sottolineando l’importanza dell’ingresso nel settore di grandi player internazionali, che hanno acquisito brand, sino ad allora, a distribuzione limitata. La crescita e il moltiplicarsi dei canali distributivi, off e online, hanno portato a una maggiore conoscenza e affezione del grande pubblico verso collezioni “non designer” e ciò ha inevitabilmente spinto i consumatori a ricercare fragranze alternative a quelle proposte dai canali classici.

2. Cosa si intende per perimetro di classificazione nel segmento della profumeria artistica?
■ Alessandra Asnaghi. In Italia, il segmento della profumeria artistica si definisce storicamente per la specificità della sua distribuzione, caratterizzata da una rete di punti vendita selezionati e specializzati, alternativa al selettivo tradizionale. Inoltre, la natura artistica pone l’accento sulla fase di creazione dei profumi, specie la ricerca e la libertà di espressione del naso.
■ Roberto Drago. Oggi non ha più senso parlare di nicchia, ma di profumeria creativa. Contano una vera idea, una storia, creatività nella formulazione, qualità delle materie prime, un prezzo coerente (non automaticamente elevato) e una distribuzione nei punti vendita giusti.
■ Luca Gritti. Fascia di prezzo più alta della media di profumeria commerciale, distribuzione selettiva (negozi indipendenti e department store, ma anche catene, all’interno di corner dedicati), controllo sulla produzione e autenticità progettuale.
■ Silvio Levi. I criteri di profilo artistico e distributivo, già spiegati anni fa sul sito di Esxence (www.esxence.com) restano fondamentalmente validi, anche se dal 2009 a oggi molte cose sono cambiate. Diciamo che dal mio punto di vista, per far entrare un marchio in questa classificazione, chiedo quale contributo alla creatività e all’originalità della profumeria pensa di aver dato. Troppi brand sembrano studiati a tavolino e frutto di un collage di elementi di altri competitor.
■ Andrea Rubini. Credo che il primo elemento delineante sia la distribuzione con la selezione delle porte. Il secondo (ideale, non sempre conseguito), la creazione di un profumo più ricercato e prezioso, sotto tutti i punti di vista, rispetto alla proposta di massa.
■ Filippo Sorcinelli. Per quel che ho potuto appurare durante gli anni della mia esperienza, ritengo sia preferibile un termine di classificazione più corretto: profumeria artistica. La consapevolezza di fare “arte” aiuta noi operatori a conferire un maggior valore al prodotto e spinge i fruitori verso un atteggiamento di ricerca più attento e approfondito.
■ Rosa Vaia. Il perimetro di classificazione che distingua nettamente la profumeria di nicchia da quella classica non è stato ancora tracciato, dal momento che non è parametrabile attraverso dati oggettivi, come certificazioni, standard di qualità e appartenenza a filiere riconosciute. Penso sia questo il momento giusto per definire il segmento, tracciando i distinguo e i confini.

3. Quali sono i punti cardine e quindi imprescindibili di un profumo artistico?
■Alessandra Asnaghi. Non esistono criteri predefiniti ufficiali, come per l’haute-couture, quindi rispondo da un punto di vista personale. Un profumo artistico nasce da un atto creativo e di ispirazione del naso, senza influenze da trend di mercato, test consumatori, timeline di lancio, target da raggiungere. Da considerare anche l’altissima qualità delle materie prime selezionate – sintetiche o naturali – che determinano l’elevato prezzo di vendita e l’inserimento in una rete di distribuzione selettiva e specializzata.
■ Roberto Drago. La parola d’ordine dev’essere “coerenza”. Se mi propongo come fragranza creativa, devo cercare originalità, un packaging che rispetti il prodotto e il settore, un prezzo e una distribuzione ad hoc, sempre nel rispetto del consumatore.
■ Luca Gritti. Sperimentazione (il prodotto artistico può permettersi di essere più audace, e quindi meno commerciale), materie prime pregiate, spesso non utilizzabili dai grandi brand per via della marginalità, e performance, soprattutto in termini di persistenza e diffusione della fragranza.
■ Silvio Levi. Per essere chiari, a marchi che sono sul mercato a volte da centinaia di anni, va riconosciuto che i loro best sellers attuali hanno spesso età ragguardevoli e sono stati apprezzati da più generazioni. Ma quasi sempre queste fragranze, pur essendo innovative, al loro esordio, non hanno avuto successi commerciali, siglando bensì un trend solo nel tempo. A loro chiedo di mantenere sempre una ragionevole percentuale di ricerca e sviluppo nel creare le nuove fragranze, sostenendole poi per anni, anche in caso di un modesto riscontro iniziale: tra di loro può emergere un best seller.
■ Andrea Rubini. È una domanda che mi pongo spesso, perché il termine potrebbe aver cambiato valenza nel tempo: si è passati dal progetto artigianale alla multinazionale, ovvero da un piccolissimo numero di marchi che, con forte identità e coraggio, proponeva la propria idea olfattiva a una proposta frammentata in migliaia di progetti diversi. Idealmente, i punti cardine del settore dovrebbero tradursi in formulazioni originali, packaging emozionali e storytelling più inquadrati e credibili.
■ Filippo Sorcinelli. Arte, una storia vera da raccontare e qualità delle materie prime, comprese quelle da destinare alla realizzazione del packaging.
■ Rosa Vaia. Per me la parola chiave è distinzione, rispetto ai trend di mercato, alla massificazione olfattiva, ai canali distributivi e di approvvigionamento. Trovo sia contraddittorio che si ponga l’accento, a senso unico, sul canale distributivo, perché non si tratta di un carattere assoluto di qualità intrinseca, ma quasi sempre di una mera scelta.

4. Quali requisiti dovrebbero avere i punti vendita per dare il giusto valore a questi profumi?
■ Alessandra Asnaghi. Cito dei requisiti che già caratterizzano molti punti vendita di profumeria artistica, ovvero l’attenzione al racconto della storia che caratterizza ogni creazione, in modo corretto, competente, approfondito. E la scoperta dei profumi con le tempistiche del cliente, per un’esperienza di acquisto memorabile.
■ Roberto Drago. Bisogna proporre una vendita “consiglio” con arredi adeguati a questo tipo di servizio e personale dedicato e molto preparato. Non può esistere il libero servizio.
■ Luca Gritti. Si parte banalmente dallo spazio fisico, che sia un mobile nel caso delle profumerie indipendenti o un corner all’interno di un department store. Ma ciò che più conta sono le persone: dal team, competente, formato e appassionato, al tipo di cliente giusto. Aiutano, infine, la posizione del punto vendita, un arredamento particolare e i social.
■ Silvio Levi. Credo fortemente che i profumi dovrebbero essere apprezzati emotivamente e non per l’uso di particolari materie prime, metodi estrattivi, packaging ammalianti. Nei negozi si deve puntare sull’accoglienza, senza far sentire il cliente sotto esame e favorire “l’ascolto”, inducendolo a esprimere emozioni, ricordi, riferimenti a fatti della propria esperienza, evocati dalla percezione di certi profumi. Quindi qualsiasi intervento estetico e di servizio in linea con questo approccio renderebbe i punti vendita delle destination che riservano piacevoli scoperte, come i negozi di libri di una volta.
■ Andrea Rubini. Personalmente, credo che dovrebbero incentrarsi attorno al concetto di passione. Un valore prezioso esteso a tutta l’esperienza di vendita: dall’accoglienza alla consulenza su misura del cliente (tramite accurata formazione del personale), dalla valorizzazione nella presentazione del prodotto, all’attenta e coerente selezione dei marchi da inserire in boutique.
■ Filippo Sorcinelli. Cultura, non solo olfattiva. Oserei dire, provocatoriamente, che forse sarebbe meglio non possedessero una propria idea e convinzione: dovrebbero comprendere di avere tra le mani un progetto d’arte, fatto di passione, sacrificio e competenza. A volte, basterebbe che si dimenticassero di essere capi di bottega, prendendo consapevolezza del valore da veicolare, quasi fossero un nostro prolungamento.
■ Rosa Vaia. La fotografia di un punto vendita la offre la selezione dei marchi effettuata dal titolare. I profumi di nicchia impongono una predisposizione all’ascolto del bisogno olfattivo e al nutrimento del cliente, alimentando la curiosità e gli stimoli olfattivi di quest’ultimo. La profumeria artistica è un luogo da vivere, da frequentare, una palestra per il nostro naso.

5. Il profumo di nicchia soddisfa a monte un approccio edonistico, ma il consumatore è consapevole della ricerca spasmodica che c’è dietro una boccetta di questo profumo?
■ Alessandra Asnaghi. Sarebbe interessante rivolgere questa domanda ai consumatori stessi. Oggi si percepisce un’attenzione maggiore alla performance immediata e monotematica del profumo, alla sua spettacolarizzazione, rispetto all’interesse per il percorso creativo, tecnico e di ricerca. Lo ritengo un argomento aperto, che potrebbe generare un dibattito interessante e costruttivo.
■ Roberto Drago. È nostro compito creare consumatori consapevoli, facendo loro capire gli aspetti distintivi di questi prodotti. Come? Comunicando, facendo incontri, usando i social per informare in modo corretto.
■ Luca Gritti. Credo che questa consapevolezza, da un lato, arricchisca il cliente e, dall’altro, dia al prodotto un valore aggiunto. Dubito, invece, che sia la cosa più importante. Per me, l’approccio edonistico sta soprattutto nell’avere grande sensibilità e apertura mentale per godere appieno la profumeria artistica.
■ Silvio Levi. La stragrande maggioranza non ne ha la più pallida idea o pensa ancora che il profumiere sia un alchimista come nel libro Il profumo di Patrick Süskind. Se gli si mostra un attuale laboratorio di profumeria gli sembra “chimico” e senza poesia e ne resta sovente deluso. Crede ancora che il naso faccia le infusioni e le estrazioni. Io tento di spiegare che le boccette di materie prime sono come i tasti di un enorme piano. Il musicista compone con sette note e cinque diesis e deve fare anni di solfeggio per padroneggiare lo strumento. Il profumiere o naso ha mediamente a disposizione almeno 4.500 materie prime, tra cui ne seleziona 300-400, con le quali comporre assonanze e dissonanze in almeno dieci o dodici anni di quotidiano solfeggio. Forse far apprezzare più il profumiere come un compositore, piuttosto che un alchimista, favorirebbe la comprensione del suo lavoro complicato e raffinatissimo.
■ Andrea Rubini. Sicuramente, spetta al consulente di vendita raccontare e diffondere questo aspetto molto importante e fortemente intrigante. Oggi, comunque, grazie a internet, abbiamo la fortuna di trovare una clientela molto più appassionata e preparata sui profumi e sulla storia del prodotto.
■ Filippo Sorcinelli. Troppo spesso capita che il cliente non comprenda appieno il valore di un prodotto, perché “scarsamente presentato” e con ciò intendo dire che, sovente, nei punti vendita si preferisce dare spazio a personali (e sterili) tecnicismi, invece di presentare il prodotto attraverso un racconto emozionale. Sostengo fortemente, infatti, che le emozioni travolgano, curino e, in questo caso, convincano e coinvolgano.
■ Rosa Vaia. Le leve di acquisto di un profumo sono strettamente personali, non possiamo pretendere cultura e preparazione da tutti i consumatori finali. La consapevolezza va pretesa, invece, dagli operatori e professionisti del settore. False credenze e miti nascono proprio in territori che dovrebbero essere sicuri.

6. Alcuni sostengono che la comunicazione della profumeria artistica sia scarsa e inappropriata. Come modificarla mantenendo fede all’esclusività?
■ Alessandra Asnaghi. In generale, la comunicazione è dinamica e in continua evoluzione e con le opportunità offerte oggi dai social media assistiamo a forme di linguaggio sicuramente nuove per la profumeria artistica. Certo, alcune modalità sono discutibili, specie quando abbastanza lontane dalla qualità del racconto alla quale sono abituati i professionisti e gli amanti del settore. Il fenomeno non è né arginabile né domabile, ma credo ci possa essere una coesistenza, dove ogni attore può esprimere il proprio stile di comunicazione e le proprie competenze. A mio parere è la credibilità il punto chiave e la variabile discriminante. Mi sembra che ci siano in atto dei cambiamenti verso una comunicazione del prodotto più rispettosa, attenta, che denota preparazione e approfondimento della materia.
■ Roberto Drago. Devono farsene carico le aziende, creare canali social, comunicare il brand, fare incontri con i consumatori, masterclass. Aprire questo mondo all’esterno: più consumatori consapevoli creiamo, più se ne avvicineranno al settore.
■ Luca Gritti. È vero che la nicchia non ha le capacità di investimento paragonabili a quelle del settore del lusso-prestige, perciò la sua comunicazione può risultare scarsa e insufficiente. Per evitare i messaggi inappropriati e mantenere un certo stile, è utile assicurarsi un team di marketing sensibile sia al Dna del brand che alle esigenze del pubblico.
■ Silvio Levi. Non vi è dubbio che si sia comunicato veramente male. Non vi è la percezione da parte del pubblico che il profumo è e deve poter esser apprezzato come mezzo di comunicazione ed espressione artistica, alla pari di pittura, poesia, musica. In ognuna di queste arti, come Cristophe Laudamiel sottolinea nel suo manifesto Fraternité, Egalité, Fragrancité, ci sono iperproduzioni di disegni, brani strimpellati, fotografie, quadri, ma per ognuno di noi la quantità produttiva non lede il fatto che si tratti di arti ed esistano capolavori imperituri, e che vi siano musei, conservatori, gallerie, letture colte. Difficilmente si pensa a un profumo in questo modo. Sarebbe molto meglio comunicarlo per le sue qualità evocative, emotive e non come status symbol, o maschera che ci fa apparire diversi da quello che siamo. E soprattutto dovremmo far sì che si possa apprezzare l’estetica anche di profumi che non indosseremo mai, ma di cui percepiamo bellezza e creatività, vere e proprie opere d’arte. Pur apprezzandoli e comprendendone l’importanza, però, non tutti ci metteremmo in casa un poster di Salvator Dalì o di Kandinsky. Ricordiamoci sempre che, come mi disse una volta il grande profumiere Guy Robert, di profumi buoni ce ne sono tantissimi ma di profumi belli, molto meno.
■ Andrea Rubini. Ritengo sia difficile essere tecnici e appropriati quando si deve attirare l’attenzione raccontando un profumo in 15 secondi. Sicuramente, le aziende potrebbero lavorare su formazioni ad hoc rivolte agli influencer, premiando maggiormente chi offre contenuti qualitativi. Ci troviamo, difatti, davanti a un controsenso: da una parte abbiamo una vendita selettiva e dall’altra un potente mezzo di comunicazione. In parallelo, continuerei a investire sulla formazione in boutique e nei counter dedicati, risultando fondamentale anche per i consulenti alla vendita un costante lavoro di studio e ricerca.
■ Filippo Sorcinelli. Sempre più spesso noto messaggi inutili che si avvicinano, pericolosamente, ai modelli di comunicazione commerciale. Il punto di forza è il non delegare il proprio racconto alle agenzie, ma dare spazio al proprio vissuto, alle proprie esperienze. Questa è la comunicazione più autentica, che va estesa a chi veicola per noi il messaggio, rendendolo il più chiaro e limpido possibile. ■ Rosa Vaia. La scarsa comunicazione deriva irrimediabilmente dalla scarsità di budget. Per realizzare una comunicazione efficace, si dovrebbe operare su più canali, attraverso molteplici linguaggi, ma questo è impensabile nel mio settore. Per ciò che concerne il concetto di esclusività, credo che questa vada riscontrata nella coerenza dello storytelling e nella qualità sia creativa, sia manifatturiera. Il fatto che in pochi ne parlino non rende esclusiva quella essenza, la rende semplicemente poco conosciuta.

7. Cosa potrebbe cambiare in un futuro imminente per la profumeria di nicchia e perché?
■ Alessandra Asnaghi. Il modello di distribuzione può evolvere verso un’ibridazione di offerta tra brand artistici e designer nello stesso punto vendita, come avviene già in contesti internazionali, visto che anche grandi player della profumeria tradizionale stanno dimostrando maggior interesse per il segmento artistico. L’altro grande game changer da citare è l’e-commerce in continua crescita, che cambierà sempre di più le abitudini di consumo di questa categoria. Non da ultimo, l’appartenenza di marchi artistici a grandi gruppi del lusso porterà ad azioni strategiche muscolari e nuove regole di mercato. Sono cambiamenti fisiologici accaduti ad ogni tipologia di segmento – moda, auto, travel, tecnologia… – e la profumeria artistica non ne è esente.
■ Roberto Drago. Il cambiamento è già in corso e si sta massificando il settore. Se noi proprietari di marchi o di aziende di distribuzione, non realizziamo prodotti coerenti, non scegliamo le fragranze giuste da distribuire, non utilizziamo gli strumenti corretti per comunicare, finiremo nelle mani della profumeria commerciale, poco competente a trattare questi prodotti se non con la leva del prezzo.
■ Luca Gritti. La nicchia nasce come un settore quasi indifferente all’estetica, ma i tempi cambiano e ora il prodotto di profumeria artistica dev’essere valido non solo dal punto di vista olfattivo. Colori, forme, un linguaggio particolare: conta tutto nel nostro lavoro. Se uno vuole differenziarsi, non ci sono più dettagli da trascurare.
■ Silvio Levi. Credo che ci possa essere una sorta di evoluzione analoga a quella del cibo con lo Slow Food. Si tratta, dopo aver ampliato il settore della profumeria artistica a livello commerciale nel mondo, di creare dei luoghi di iper selezione. Spesso sostengo che dopo il mass-tige esiste una pre-nicchia di marchi a distribuzione più contenuta e più attenti ad aspetti qualitativi e creativi, ma che necessitano di una diffusione mediamente larga. Poi abbiamo la profumeria artistica, paese di Lilliput in cui si avventurano dei giganti, che rischiano di vanificare la percezione del settore dove si crea l’opportunità di costruire un network di proposta della profumeria di eccellenza con criteri più stretti, ma con un numero più consistente di ammiratori molto attenti e consci di quello che cercano. Sono fenomeni socio-culturali già visti in altri settori e il divario tra lusso ed eccellenza per me è ampio e molto chiaro e, credo sia evidente, opto per l’eccellenza.
■ Andrea Rubini. Stiamo assistendo a un flusso di vendite nel settore mai visto prima. I grandi player sono già entrati di prepotenza, rilevando i marchi più importanti e acquisendo, così, una grande fetta di mercato. Siamo in una fase di trasformazione e diversi potrebbero essere gli scenari futuri, tenendo conto che il mercato italiano rappresenta, per conformazione e dinamiche, un unicum distaccato dal resto del mondo. Vedo la situazione attuale come una metafora: una grande nave da crociera con a bordo la nicchia: marchi, profumerie, distributori e multinazionali. Rimarranno tutti a bordo? Nel mentre, è salpato un piccolo battello che porta con sé tanti e interessanti progetti indipendenti.
■ Filippo Sorcinelli. Spero si possa rallentare la corsa: occorre fermarsi, per capirsi e per ridimensionare le vedute. Quando si corre, si rischia di guardare troppo in superficie. Quando si aumenta il volume, anche delle esposizioni, si fornisce una visione distorta e poco approfondita, rischiando di assottigliare sempre più il confine tra il settore della nicchia/arte/ricerca e la profumeria tradizionale/commerciale.
■ Rosa Vaia. Siamo in un momento storico di grande fermento, che porterà sicuramente a dei cambiamenti. Io credo che molti retailer del selettivo, di grande esperienza, apriranno alle realtà di nicchia. È una sfida che porterà tutti a essere più competitivi e strutturati. Nei mercati internazionali, dopo la crescita del nostro segmento negli Stati Uniti d’America e nei mercati asiatici, assisteremo, a breve, a una crescita importante anche nel mercato dell’America Latina.
